“È un mondo nel quale c’è un padrone, un sovrano. Ed alla fine questo non solo è pernicioso per tutti quelli compresi in questo sistema, ma anche per il sovrano stesso, perché distrugge se stesso dall’interno. E questo certamente non ha nulla in comune con la democrazia. […] Io considero che nel mondo d’oggi il modello unipolare non solo sia inaccettabile, ma che sia anche impossibile”[1]. Con queste parole, pronunciate alla conferenza di Monaco sulla Sicurezza nel febbraio del 2007, il presidente russo Vladimir Putin condannò il sistema unipolare dominato dagli USA e decretò una svolta storica nel ruolo geopolitico della Federazione Russa e nelle relazioni internazionali. Per questo, è possibile affermare che la Russia di Putin rappresenti il più strenuo baluardo contro il modello occidentale liberal-capitalista votato unicamente alla diffusione messianica del verbo del libero mercato, della globalizzazione, della società dei consumi e di un paradigma libertario illusorio orientato al nichilismo. Tale modello, dietro il paravento dell’esportazione della democrazia liberale – effettuata attraverso il collaudato metodo del “regime change”, volto ad eliminare i leader dei Paesi scomodi a Washington – mira in realtà a perseguire un’omologazione delle menti, dei costumi e delle culture, in nome della logica del profitto illimitato che ha condotto all’egemonia dei mercati sugli Stati e, dunque, al regno della pura quantità che, in quanto tale, annulla ogni valore qualitativo e ogni residuo di “trascendenza” nell’ordine sociale e antropologico.
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