“Potete citarmi un solo caso in cui il FMI e il suo aiuto non abbiano prodotto effetti negativi? Ci è sembrato di capire che quello che il FMI cerca va ben al di là di un controllo sulla gestione: è un controllo politico”.
Thomas Sankara

Le istituzioni finanziarie internazionali sono state il mezzo attraverso cui creare, all’indomani della Seconda guerra mondiale, un sistema economico globale, basato sui dogmi del liberismo e modellato sulle “esigenze” della finanza anglo-americana. Esse, infatti, hanno avuto e hanno la funzione fondamentale di predisporre, all’interno delle economie nazionali e delle loro regolamentazioni, le condizioni necessarie affinché i potentati economici internazionali possano imporre la loro egemonia e massimizzare, spesso illecitamente, i loro profitti. In altre parole, costituiscono un vero e proprio governo ombra parallelo che scavalca sistematicamente e scientemente la sovranità degli stati e della società civile.

Per comprendere tali dinamiche, è necessario conoscere il contesto e le ragioni per cui si affermò la volontà di istituire questi organismi. Il nucleo originario in cui per la prima volta fu teorizzata la necessità di creare delle istituzioni economiche internazionali va individuato nel Council on Foreign Relations (CFR) durante gli anni della Seconda guerra mondiale, all’interno di un progetto che prevedeva che l’America si affermasse, a guerra conclusa, quale potenza egemone assoluta. L’obiettivo principale del Consiglio era quello di una totale pianificazione post-bellica, che avrebbe permesso la creazione di un ordine economico e politico internazionale dominato dagli USA. Per raggiungere tali obiettivi, il Consiglio creò cinque gruppi di lavoro altamente efficienti e coordinati (“Economico e Finanziario”, “Politico”, “Armamenti”, “Territoriale” e “Obiettivi di Pace”), che monitoravano costantemente gli sviluppi della guerra e progettavano le strutture politiche ed economiche del mondo post-bellico. Questi cinque gruppi formarono il “War and Peace Studies Project”, finanziato dalla Fondazione Rockefeller:

Il 6 dicembre 1939, la Fondazione donò al Consiglio 44.500 dollari, allo scopo di finanziare il progetto per gli anni a venire”.[1]

Intento dichiarato del Consiglio era influenzare direttamente il governo americano.

Il gruppo di “Economia e Finanza”, guidato da Alvin Hansen, docente di Economia politica all’Università di Harvard, e Jacob Viner, docente di Economia all’università di Chicago, in un memorandum del 1941 formulò per la prima volta il concetto di quella che era stata denominata “Grande Area”, ossia quello “spazio vitale” che doveva garantire le materie prime essenziali per l’industria e l’economia americana e che nella sua forma finale avrebbe dovuto comprendere l’Emisfero Occidentale, il Regno Unito, l’Impero e il Commonwealth Britannico, le Indie orientali olandesi, la Cina e lo stesso Giappone. In realtà, la Grande Area era pensata solo come misura intermedia volta ad agevolare la creazione di un’economia mondiale, tanto che lo stesso Gruppo si premurò di ribadire che:

la Grande Area non è considerata maggiormente desiderabile di un’economia mondiale, né come un suo sostituto pienamente soddisfacente.”[2]

In questa prospettiva va altresì letta la seguente dichiarazione del Gruppo all’interno dello stesso memorandum:

Nell’eventualità di una vittoria anglo-americana, molto ci sarebbe da fare per rimodellare il mondo, particolarmente l’Europa. In questo, l’organizzazione della Grande Area dovrebbe rivelarsi utile. […] La Grande Area dovrebbe essere un importante fattore di stabilizzazione nell’economia mondiale.[3]

Successivamente, gli studi per integrare la Grande Area, che era previsto si espandesse fino a diventare un vero e proprio ordine economico mondiale, si intensificarono e il CFR cominciò a proporre delle istituzioni economiche e finanziarie internazionali per assicurare il corretto funzionamento e la corretta integrazione delle varie aree. Hansen e Viner, già nel 1942, proposero la creazione di due istituzioni separate: una per regolare i tassi di cambio internazionali, l’altra per promuovere investimenti a lungo termine, istituendo “agenzie ufficiali multinazionali”. Lo sviluppo dell’economia mondiale, infatti, risultava essenziale per sostenere e incrementare la prosperità americana e britannica. Sebbene, dunque, le prime proposte e le prime pianificazioni in tal senso provennero dal Consiglio, fu Harry Dexter White del Dipartimento del Tesoro a elaborare i dettagli tecnici che andarono a costituire le Istituzioni finanziarie internazionali (IFI). Tuttavia, i contatti tra CFR e Governo erano estremamente fitti e il primo aveva influenzato enormemente il secondo, essendo ciò tra le sue principali finalità. Non a caso, nelle commissioni che vennero istituite per perfezionare il progetto (il “Cabinet Commitee”, attivo dal maggio del ’42, e l'”American Techniacal Committee”) erano presenti membri del CFR, compreso Hansen, il quale partecipò a molte riunioni della “Commissione Tecnica”.

Gli studi e i progetti del CFR e, in seguito, del governo americano si concretizzarono nella Conferenza monetaria e finanziaria delle Nazioni Unite del 1944 a Bretton Woods, dove vennero ufficializzate le due istituzioni dette appunto di Bretton Woods: il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo. Nella stessa sede venne altresì stabilito un sistema di cambi fissi ancorato al dollaro, a sua volta convertibile in oro (35 dollari per oncia d’oro), in base al quale i paesi aderenti dichiaravano la parità della loro valuta col dollaro e si impegnavano a difendere tale parità. Questo sistema durò fino al 1971, quando l’allora presidente Richard Nixon decretò la sospensione della convertibilità del dollaro in oro e si passò dal sistema di cambi fissi ad un sistema di cambi fluttuanti. Di conseguenza, cambiarono anche il ruolo e le funzioni delle IFI: se durante il sistema di cambi fissi, l’FMI aveva il compito di vigilare sulla parità dei cambi, riportandola a livelli adeguati, qualora in un paese si fosse verificato uno “squilibrio fondamentale” nella bilancia dei pagamenti, dopo Bretton Woods (cioè durante il sistema di cambi fluttuanti), il suo compito divenne quello di fornire prestiti ai paesi indebitati, in particolare quelli del Terzo mondo e dell’est Europa, e soprattutto di “gestire” il loro debito, modificando il sistema economico nazionale attraverso le famigerate riforme strutturali e le cosiddette “condizionalità”. Sebbene gli obiettivi dichiarati dell’ FMI e della Banca Mondiale fossero (e siano tuttora) quelli di mantenere la stabilità economica, di rendere sostenibili i debiti dei Paesi in via di sviluppo e prevenire le crisi del sistema monetario internazionale, tali finalità risultano smentite dai fatti. Fin dagli anni Ottanta, in seguito ai prestiti delle IFI, il debito estero dei paesi più poveri del mondo è aumentato enormemente, passando dai 658 miliardi di dollari del 1980 a più di 2000 miliardi nel 1995.[4]

Se le IFI si concentrarono inizialmente sui finanziamenti e la gestione del debito dei paesi del Terzo Mondo e dell’ex blocco sovietico, a partire dagli anni Novanta, la “ricetta economica” del FMI e della Banca Mondiale si estese anche ai paesi industrializzati e il monetarismo cominciò ad essere applicato su scala mondiale, iniziando ad indebolire anche le economie dei paesi ricchi.

Gli accordi di prestito della Banca Mondiale e dell’ FMI sono subordinati a “condizionalità” restrittive, che consistono nell’esecuzione scrupolosa dei piani di aggiustamento strutturale. Tuttavia, tali piani non sono collegati a programmi di investimento, ma ad un mero piano di stabilizzazione macroeconomica, il quale, in assenza di investimenti produttivi, non favorisce l’economia reale, ma costringe all’importazione e quindi al dirottamento estero delle risorse, da cui consegue una stagnazione economica e la crescita del peso del debito. L’aggiustamento strutturale segue due fasi distinte (che spesso però vengono attuate in concomitanza): la stabilizzazione macroeconomica e le riforme strutturali. La prima, attraverso il tasso di cambio, prevede la svalutazione della moneta, che a sua volta, genera inflazione. Per queste ragioni, le IFI impongono ai governi un piano anti-inflazione, che non si concentra sulla causa (la svalutazione), ma lavora sulla contrazione della domanda interna, attraverso misure quali il licenziamento dei dipendenti pubblici, la deindicizzazione dei salari e soprattutto la drastica riduzione dei deficit di bilancio. Come ha dichiarato la stessa Banca Mondiale infatti:

Tenere bassi i deficit di bilancio aiuta a controllare l’inflazione e a evitare problemi nei conti con l’estero. Mantenere un corso del cambio realistico ripaga con una maggior competitività internazionale e sostiene le valute convertibili“.[5]

La seconda fase prevede quello che è il vero pilastro non solo delle IFI, ma della globalizzazione economica nel suo complesso: la liberalizzazione degli scambi commerciali e dei movimenti di capitale, oltre che la deregolamentazione del sistema bancario, la privatizzazione delle imprese statali e le riforme fiscali.

Le conseguenze di questo tipo di “ristrutturazione” economica, che ha messo sul lastrico interi continenti, dall’Africa al sud-America, gravano interamente sulle masse popolari dei paesi interessati, mentre è evidente che chi trae benefici da un tale sistema sono i grandi potentati finanziari e i colossi multinazionali che, grazie alla deregolamentazione e alle liberalizzazioni, possono speculare e trarre profitto dai bassi costi del mercato del lavoro. Tutto ciò non stupisce affatto se si considera che questi organismi finanziari fanno parte di un progetto di modellamento economico globale, attraverso il quale si alterano e si manipolano in modo antidemocratico non solo l’economia, ma indirettamente anche le politiche sociali e culturali degli stati coinvolti e dietro al quale vi è la longa manus della classe dominante anglo-americana, in particolare i banchieri di Wall Street e le grandi società di capitali. Queste ultime si incontrano regolarmente con i funzionari delle IFI, sia in riunioni riservate che in convegni pubblici, alle quali sono spesso presenti anche le grandi lobby d’affari mondiali, quali la Camera di Commercio Internazionale, il Consiglio degli Stati Uniti per gli Affari Internazionali, il Forum economico mondiale di Davos e l’Istituto Finanziario Internazionale, rappresentante dei più grandi istituti finanziari del mondo. Queste organizzazioni burocratiche intergovernative costituiscono la struttura portante del sistema economico liberista e perseguono l’obiettivo di creare, attraverso l’alterazione e il danneggiamento dei sistemi produttivi locali, una struttura economica mondiale al cui vertice vi è la grande finanza speculativa plutocratica. E’ stato così portato avanti fedelmente il progetto originario del CFR, associazione privata dal potere dirompente, di cui hanno fatto e fanno parte le maggiori personalità del mondo politico americano e in cui è stata plasmata per la prima volta l’impalcatura economico-politica che costituisce l’intero modello occidentale attuale. Le nazioni sono state sottomesse ai poteri economici globali e dunque non sono più in grado di rivendicare il diritto (e il dovere) di stampare moneta, mentre si assiste alla pericolosa e completa sovversione della gerarchia dei valori, dove al primo posto non si trova più l’etica e la giustizia, ma il denaro e il dominio. La concezione del mondo quale unico grande mercato, che si sintetizza nel fenomeno della globalizzazione, va smantellata e, con essa, vanno smantellate tutte le strutture su cui si regge, a cominciare dalle istituzioni di Bretton Woods e dai suoi recenti surrogati europei come il Mes. Se è pur vero che sono presenti sullo scacchiere geopolitico mondiale “nuove” potenze economiche come la Cina, configurando così uno scenario multipolare, è altrettanto vero che il nucleo dell’architettura istituzionale occidentale (di cui fa parte la stessa UE) ha le sue radici negli Stati Uniti. Senza un completo abbattimento delle strutture sovranazionali, comprese NATO e ONU che coordinano le loro operazioni con le IFI, le possibilità concrete di eludere i rischi del completamento di un ordine mondiale (già in atto) e del sempre maggiore impoverimento globale sono pressoché nulle. Ma perché ciò avvenga, è necessaria una profonda consapevolezza da parte di chi subisce quotidianamente le conseguenze di questo sistema, e, soprattutto un cambio di paradigma culturale.
Come sosteneva Sankara: “Lo schiavo che non organizza la propria ribellione non merita compassione per la sua sorte. […] La libertà può essere conquistata solo con la lotta”.[6]


[1] Laurence H. Shoup, William Minter, Imperial Brain Trust: The Council on Foreign Relations and United States Foreign Policy, Monthly Review Pr, 1978, p. 119.

[2]Ivi, p. 135. Documentazione: Memorandum E-A17, June 14, 1941, CFR, War-Peace Studies, HLWRP.

[3] Ivi p. 137; da: Memorandum E-B34, July 24, 1941, CFR, War-Peace Studies, Methods of Economic Collaboration. Introductory: the Role of the Grand Area in American Economic Policy.

[4] World Bank, World Debt Tables, edizioni varie, Washington DC.

[5] World Bank, Adjustment in Africa, Oxford University Press, Washington 1994.

[6]  Citato in Discorso di Sankara all’ONU, 4 ottobre 1984.

Share: